Oggi si parla sempre di più dell’obsolescenza programmata. È un processo mediante il quale le aziende, nella fase di progettazione di un prodotto, impostano una “data di scadenza”, cioè creano quell’oggetto per rompersi in breve tempo, così da spingere il consumatore a sostituirlo.
Non è un fenomeno nuovo, per la prima volta il termine “obsolescenza programmata” è stato usato nei primi anni ‘20, quando i principali produttori di lampadine strinsero un accordo per far si che la durata della luce fosse minore per avere un maggiore guadagno. Molto percepita è nell’ambito della tecnologia elettronica, smartphone, tablet e computer, ma anche elettrodomestici.
Di fianco troviamo anche la cosiddetta obsolescenza percepita, quando un oggetto non è rotto ma siamo portati a sostituirlo influenzati da marketing e pubblicità che ci infondo il falso bisogno dell’ultimo modello. Questo è giusto nel momento in cui c’è un reale salto di qualità nella tecnologia, come quando c’è stato il passaggio da cellulari senza fotocamera a quelli con, ma negli ultimi modelli le persone non conoscono neanche l’effettivo vantaggio, li comprano solo per seguire la moda.
Samsung ed Apple sono state multate, negli scorsi anni, per aver reso obbligatori su tutti loro dispositivi degli aggiornamenti che però i modelli più vecchi non riuscivano a reggere, il che ha portato ad una durata della batteria inesistente e a continui malfunzionamenti. Il tutto ha spinto i consumatori a compare nuovi prodotti.
Quello che fanno le aziende produttrici è usare materie prime di scarso pregio, pezzi costruiti proprio per non riuscire a sostituire la parte più sensibile e che tende a rompersi facilmente, così che, anche se il consumatore volesse riparare l’oggetto, questo diverrebbe impossibile o comunque molto costoso, facendo sì che si preferisce sostituirlo.
Un esempio, che non appartiene al settore tecnologico, è quello dell’abbigliamento, ad oggi le materie prime sono molto poco resistenti, come nel caso dei collant, a basso costo e di conseguenza, nonostante si rompano di continuo, noi siamo portati a ricomprarli perché non costano molto. Il problema è che non pensiamo al costo totale che questo continuo usare e gettare provoca al nostro pianeta.
Questa tecnica oltre che ad essere una truffa verso il consumatore, oggi è un grosso problema a livello ambientale. Infatti, smaltire i rifiuti più naturali è complesso, ma smaltire elettrodomestici e oggetti tecnologici lo è ancora di più. Montagne di rifiuti vengono portate verso i Paesi del terzo mondo, anche se farli sparire nel nulla non è possibile. Se non si inverte questa tendenza, a breve ci ritroveremo sommersi. Ci sono delle leggi che mirano ad eliminare questa politica delle industrie, ma in realtà non possiamo essere certi che un oggetto non sia stato sottoposto a questa pratica.
Nel nostro piccolo però possiamo aiutare il pianeta, usando degli accorgimenti:
- spendere un pochino di più inizialmente, attivando magari anche un’assicurazione quando si tratta di tecnologia, ma acquistare dei prodotti migliori, fatti con materiali migliori e che durano molto di più nel tempo;
- possiamo abbandonare l’ottica dell’usa e getta a cui siamo stati abituati, per tornare a praticare il riuso, cioè convertire un oggetto in altro;
- riparare, quando possibile e quando un prodotto è ancora buono e non ha finito davvero il suo ciclo di vita;
- comprare oggetti usati o ricondizionati perché usato non vuol dire peggiore, rotto o vecchio.
In conclusione, l’obsolescenza programmata è una pratica che dà diverso tempo porta molto guadagno ma crea un danno oggettivo e irreparabile alla Terra. In attesa di leggi più stringenti, con piccoli gesti possiamo cercare di arginarla.
Fonti
https://www.youtube.com/watch?v=swinsY_XZ4M
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